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:: combattimento ::

(pubblicato il 10/12/2008)

 

Ho passato molti anni, ad imparare kata, tecniche, combinazioni, applicazioni; quando iniziai a praticare karate nel 1978, era permesso avvicinarsi al kumite libero (con tecnica controllata) solo dopo la cintura marrone.
Anni passati a memorizzare strategie, tecniche e mentalità, per poi trovarsi completamente a disagio nel contesto di un combattimento a contatto; e passare altro tempo per ritrovare uno sguardo obiettivo.
Oggi ho rovesciato completamente questa metodologia, il principiante che entra nella mia palestra, impara da subito a prendere confidenza con le reazioni del compagno di allenamento, libero dapprima di sperimentare tutte le sue reazioni, scoordinate e maldestre ma punto fermo da cui bisogna partire. Da questa situazione di caos, inadeguatezza, ingenuità e aggressività repressa oppure non controllata, parte il mio metodo di insegnamento. Perché il combattimento è caos da saper gestire, e non un’elegante scambio di tecniche pulite.
Durante tutto il percorso, c’è ovviamente bisogno educare il corpo, di affinare la tecnica, la forma, c’è bisogno della maggior consapevolezza motoria possibile, pertanto c’è necessariamente un lavoro anche formale, ma che viene da subito inserito nel contesto del combattimento. Il kata stesso, deve darmi immediatamente qualità adatte al combattimento, e non parlo dei soliti improbabili bunkay. Sono convinto che prima occorra cimentarsi nello scontro con il partner e solo dopo avvicinarsi al kata.
C’è bisogno del contatto, dosato in maniera intelligente ed inserito in un metodo preciso, un contatto di intensità graduale, che permetta di sperimentare senza blocchi determinati dalla paura del dolore, ma che metta in evidenza possibilità e difetti. Che mi permetta di sistemare spontaneamente il corpo per innescare energia cinetica da trasferire su un bersaglio non immaginario, o al contrario mi permetta di assorbirlo perché attraverso il contatto é facile capire la dissipazione. C’è bisogno di sperimentare il combattimento a tutte le distanze possibili.
C’è bisogno di una mente fluida in un corpo che non conosce rigidità, pertanto occorre studiare in un ambiente serio ma non serioso, in un ambiente depurato da (false) regole militari, dove il necessario rispetto sia sincero e non dettato da chissà quale misteriosa regola di gerarchia.
Partendo da subito dall’approccio al combattimento, finiamo per smitizzare il combattimento stesso; diventa un’esercizio o meglio un laboratorio di sperimentazione ed allora il lavoro formale che da solo sembra così lontano dalla situazione di lotta, assume un’altra dimensione perché visto con occhi più consapevoli. Insomma... per imparare a combattere , bisogna combattere.

 

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