:: armonia funzionale ::
(pubblicato il 20/10/2007)
Ripeto spesso, che intendo il combattimento come un veicolo evolutivo, e non un semplice sparring dove devo difendere un titolo, una posizione.
Credo sia indispensabile, provare ad osservare il nostro comportamento nei momenti di grande stress.
Riusciamo ad utilizzare le risorse necessarie a far fronte al combattimento che si prospetta (non solo necessariamente fisico), oppure il nostro stato emotivo è talmente alterato da farci rimanere paralizzati, o a rispondere in maniera confusa e non adeguata?
La paura e la conseguente paralisi psico-fisica sono nell’uomo, una realtà molto comune.
Per le mie esperienze fuori e dentro al dojo, posso assicurare che anche chi è un professionista della sicurezza, deve fare i conti con i blocchi fisici e psicologici, che appaiono nelle occasioni di duri confronti.
Per questo motivo nella nostra Scuola non ci limitiamo ad imparare le tecniche di combattimento, ma approfondiamo necessariamente la dimensione psichica, per avere la possibilità di conoscersi e attraverso il confronto, mettersi in discussione. Secondo il mio parere, ciò è possibile attraverso l’interazione con gli altri, ho sempre qualche dubbio quando mi si dice che si è trasceso questo o quello; il pericolo è vestirsi di un’aurea new age, e smettere così di sperimentare attraverso tutto ciò che accade, per credere di fare esperienza circoscritta a ciò che vogliamo che accada.
Osservando i miei Allievi, che amo e di cui ho una stima più che notevole, registro senza ombra di dubbio, una forte resistenza a connettersi realmente con la propria parte emotiva.
In alcuni di loro, negli anni passati era evidente una competizione egoica con altri che partecipavano alle lezioni, oggi questo per molti è superato, ma, tutti tendono a considerare accettabile un proprio limite tecnico o fisico, ma difficilmente digeribile il riconoscere le proprie difficoltà psicologiche.
Un termometro di stress facile da reperire è rappresentato ad esempio, dalla fatica.
Quando sono molto affaticato, ho difficoltà a metabolizzare la spiegazione del maestro; anche la combinazione tecnica più semplice sembra complessa da realizzare.
Se non sono abituato, tutto il quadro si presenta confuso; tutte le tecniche imparate sembrano inutilizzabili , le ore passate a fare meditazione non generano cosa dovrebbero; le informazioni ricevute, ci appaiono esperienze lontanissime di altri.
È risaputo che l’addestramento militare dei corpi speciali, è finalizzato ad ottenere grandi capacità di combattimento e rimanere totalmente funzionali, pur raggiungendo i massimi livelli di stress.
Gli israeliani, vengono privati del sonno, con frequenti sveglie durante la stessa notte, per arrivare ad essere perfettamente efficienti, pur dormendo non più di tre ore.
Alcune scuole di arti marziali, propongono stage intensivi dove si alza il livello di stress da gestire; ricordate le maratone di otto ore?
Importanti incrementi di stress, che riusciamo in qualche modo a gestire, abbattono barriere psichiche difensive, e aprono orizzonti inaspettati.
Il tutto secondo me, è finalizzato a mantenere un’armonia fra mente e corpo, ma un’armonia efficiente, reale, funzionale.
Ripeto spesso, che è facile sentirsi centrati, quando nulla ci punge veramente; sono tante le persone che ho conosciuto, che aggredite da forti stress hanno risposto annichilendosi, rimanendo paralizzati.
Provate a fare un tuffo in un lago di montagna, l’acqua è freddissima, sembra ghiacciata; gli arti perdono sensibilità, sembrano paralizzati; il respiro diventa corto; il viso prende un’espressione attonita.
È quello che può succedere, davanti ad un pericolo vero.
Tutta la mia abilità di combattente, può cedere il passo ad un tentativo di coordinazione motoria approssimativa; il tempo di reazione diventa inadeguato ed il respiro sembra non passare.
A questo punto, questo scritto avrebbe bisogno di una conclusione: la lascio ad ognuno di Voi, fate attenzione che ciò che aggiungerete sia pulito da pregiudizi di comodo e da aspettative.
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