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:: le mie ragazze: riflessioni ::

(pubblicato il 28/06/2014)

 

Tre diverse riflessioni di tre diverse ragazze, due delle quali sono con me da quando erano bimbe.
Nessuna parla delle proprie doti ( ne hanno tante, sono davvero brave ed in continua e veloce evoluzione), no! parlano delle proprie difficoltà, e in maniera propositiva. Mi piace molto questo atteggiamento, mi piace questa capacitò di ascoltarsi.
Secondo me sono ottimi spunti per tutti, secondo me vale la pena di leggere quello che sta scritto fra le righe. buona lettura.



Nami significa onda, in riferimento allo scorrere dell’energia . Onda è vitalità, scioltezza, libertà... ma cosa succede quando alla nostra energia vitale sembra che sia stato messo un tappo che non le consente di fluire?

E’ la situazione della paralisi ed io l’ho sperimentata più volte, non solo in palestra. Quella fastidiosa sensazione di impotenza, di inettitudine che di fronte ai problemi più grandi mi immobilizza.
Non sono mai stata una persona istintiva: troppo cerebrale fin da piccola, ho sempre analizzato qualsiasi cosa. Di fronte ad un ostacolo o semplicemente ad una novità non sono quella che si butta a capofitto e almeno ci prova. Al contrario, generalmente mi comporto come lo struzzo: testa sotto la sabbia subito !

Prendiamo l’esempio della famigerata capriola in avanti: nella mia testa scatta un meccanismo di questo tipo: problema -paura -angoscia -che figuraccia - io non ce la farò mai - perché per gli altri è cosi facile - magari se lo faccio così sembra che l’ho fatto finito l’esercizio ...scampato pericolo !
Eppure con questo metodo la testa non torna su, anzi, ogni volta si ha l’impressione di sprofondare maggiormente, di costruirsi un nido accogliente ma sempre più stretto e chiuso. Sembrerebbe impossibile uscirne...

Invece no! Ci sono almeno due soluzioni per chi è affetto da struzzopatìa.
La prima consiste nel sopprimere per un momento la propria mentalità ipercritica e alzare la testa di botto, senza pensarci. Nell’esempio della capriola, bisognerebbe quindi buttarsi in avanti senza badare troppo alle conseguenze (in palestra e con il tappeto pronto ad accoglierci, il dolore che si può contrarre da una banale capriola in avanti, anche se fatta male, è davvero poco) perché il solo fatto di essersi buttati libera da un grosso peso. Tuttavia devo ammettere che questo metodo, che ho visto applicare da molti compagni di corso, non corrisponde alla mia personalità; ad esempio, se passasse molto tempo dalla volta in cui fossi riuscita a superare il mio blocco, rischierei di trovarmi nella stessa situazione di partenza: io in piedi ,con il vuoto e la paura di non farcela davanti a me.

Per questo ritengo che la strategia che più si addice al mio caso sia quella dei piccoli passi. Consiste nel non alzare la testa all’improvviso, ma sollevarla pian piano e abituarsi a poco a poco alla luce. Percorrere a ritroso il processo che ci aveva cristallizzati abituando corpo e mente a cambiamenti quasi impercettibili ma costanti. E’ la resistenza, mentale più che fisica, la chiave di questo metodo che mi ha aiutato se non a vincere, almeno a “sfatare” alcune mie paure nello sport, come quella della capriola in avanti che almeno adesso provo a fare o del cambiare il compagno con cui svolgere gli esercizi. E il Karate, soprattutto in quest’ultimo anno, è stato il pioniere del cambiamento: se la sera ad allenamento riuscivo a dare il massimo e soprattutto a non arrendermi tornavo a casa gratificata.
In palestra ho sperimentato la mia risalita.

Chi mi conosce sa che non amo essere al centro dell’attenzione, inoltre non essendo particolarmente snodata e coordinata, non apprendo al volo gli esercizi. Eppure ho imparato che queste caratteristiche non sono definitive perchè con impegno e forza di volontà possono essere smussate o cambiate. Inoltre, cosa ancora più importante e forse un po’ in contrasto con quello che ho appena affermato, ho appreso che non è necessario che io stravolga me stessa per andare bene.
Il bello di questa disciplina è che si adatta a tutti. Non fornisce solo contenuti tecnici che forse per una come me non troverebbero grande applicazione in casi di emergenza (di fronte ad un aggressione non so quanti reagirebbero con mosse di arte marziale...); bensì strumenti mentali flessibili per affrontare le situazioni che via via si presentano nella quotidianità.
Il Karate, così come lo ha insegnato il mio Maestro, mi ha trasmesso un atteggiamento propositivo, aperto alle infinite possibilità della vita, che non devono essere vissute come paralisi ma come occasione.

Le immagini del Sole e della Luna in Karate simboleggiano rispettivamente il momento dell’attacco e della difesa; ma così come la Luna aspetta attivamente con pazienza di diventare Sole padroneggiando la situazione, così io, da struzza, sto imparando ad accusare il colpo senza farmi mettere in crisi. Perché mi sembra di aver capito che nella vita, prima di tutto, è importante sapersi difendere.
Thea

Ho iniziato la mia esperienza al Dojo Nami giusto un anno fa mi pare intorno ad aprile.
Io provenivo già da un’altra associazione di Genova quindi si può dire che un pò di esperienza in questo settore gia ce l’ho ,però arrivare in una nuova palestra ignara di ciò che mi sarebbe aspettato di certo mi spaventava molto.
Appena provai di persona il nuovo stile lo sentii molto lontano da me e dalle mie aspettative forse perchè ho sempre praticato fin da piccola un altro tipo di karate che con questo non aveva proprio nulla in comune.
Testarda come sono non ho voluto fermarmi e andare avanti anche perche se mi fossi arresa l’avrei presa come una sconfitta personale.
Appena ho cominciato ad ingranare il nuovo meccanismo ho iniziato il mio percorso sportivo come sfida con me stessa per vedere fino a che punto sarei potuta arrivare,se sarei stata portata per questo tipo di karate se mi sarei trovata bene con i nuovi amici e con i maestri.
All’inizio logicamente mi sentivo un pesce fuor d’acqua perche non sapevo come muovermi ,i combattimenti erano completamente diversi da quelli a cui ero abituata,i movimenti dovevano essere piu sciolti, in piu mi intestardivo perché vedovo gli altri che mentre combattevano rendevano le cose molto semplici con movimenti puliti i fluidi.
Poi la cosa che ho notato subito era la serenità nelle facce mentre combattevano oppure mentre svolgevano un qualsiasi esercizio, anche se io magari lo valutavo difficilissimo ,per loro sembrava una cosa nomale una routine ma soprattutto una cosa fattibile da tutti.
Ormai è passato un anno dal mio arrivo al Dojo Nami e ho capito un sacco di cose che porterò sempre con me, per esempio che la stanchezza non è solo fisica ma soprattutto mentale e questo me ne sono resa conto anche io perche a volte mi capitava di arrivare al quinto combattimento stravolta con le gambe che mi facevano male ma il fiato non mi mancava e non riuscivo a capire il perche, allora per poter proseguire al meglio il resto della prova mi auto convincevo che in realtà io non ero stanca, che le gambe non mi facevano male, che avrei potuto proseguire ancora per molto ,che non potevo buttare via un anno di sacrifici solo per la mia convinzione di essere stanca ,forse perchè partivo già con l’idea che prima o poi avrei ceduto.
Devo dire che il metodo di auto-convincermi che io ce la posso fare sta funzionato e mi sta aiutando ad arrivare infondo sempre meglio e di questo ne sono orgogliosa.
Purtroppo ho ancora qualche blocco che non mi permette di aprirmi completamente ma sono sicura che con il tempo e con la mia costanza ce la potrò fare come ho sempre fatto in tutto le cose; perche nulla è poi così impossibile come si pensa , e anche se non dovessi riuscire a portare a buon fine un qualcosa posso comunque dire che io c’ho provato e che ho sudato fino all’ultimo, perchè nella vita ci sta anche perdere ogni tanto l’importante e saperlo fare sinceramente.

Giulia

Ogni essere umano è in grado di provare infinite emozioni tutte differenti l’una dall’altra
Tra queste la tensione è parte quotidiana della nostra vita e possiamo considerarla come uno degli ostacoli più difficili da sormontare; questo perché gli effetti che provoca sulla mente e sul corpo sono molto forti e complessi.
All’interno della nostra palestra affrontiamo spesso questa difficoltà, la quale molte volte riesce a vincere, ma anche noi allo stesso tempo ci rendiamo conto di come questo ostacolo, seppur alto e difficile da superare, faccia semplicemente parte di un cammino che prima o poi riusciremo a terminare. Seguendo attentamente le lezioni riusciamo ad immaginare ciò che gli insegnanti vogliono farci capire e, imparato ciò, non resta altro da fare che provare a mettere tutto in pratica. Ripensando al passato mi rendo conto di tutti i problemi portati dalla mente e dal corpo che sono riuscita a sorpassare e partendo da qui, è entrata in me la convinzione di poter fare tutto ciò che vorrei impegnandomi con costanza.
Ci viene insegnato come tutti questi problemi possano essere affrontati solo grazie alle nostre forze, per questo è fondamentale riuscire a capire noi stessi ascoltando ciò che il nostro corpo cerca di dirci.
Nessuno arriverà mai alla perfezione, ma a tutti noi basta metterci in gioco, sapere di averci messo il cuore e di aver fatto il possibile. La perfezione a confronto non è nulla.
Stare sciolti, senza preoccupazioni, senza paure e contrazioni agevola ogni sorta di movimento: non sei più rinchiuso, ora hai la possibilità di muoverti, hai la padronanza del tuo corpo e la possibilità di capirlo al meglio così da riuscire a rendere qualcosa efficace. La tensione parte dalla nostra testa. In uno stato mentale allenato e tranquillo riusciamo a concentrarci al meglio e a dare il massimo; attraverso la scioltezza siamo in grado di capire, analizzare e studiare una situazione al meglio.
Durante un combattimento ad esempio il mio corpo, se in tensione, non si muove in modo corretto per questo la fatica e la stanchezza che provo sono il doppio di quello che proverei se stessi morbida.
In quest’ultimo caso al contrario sono in grado di adattarmi meglio alla situazione che mi si presenta davanti, riesco molto più facilmente a capire i movimenti che il mio avversario sta per fare e la mia mente è pronta a reagire velocemente per poi passare al movimento successivo.
Una conseguenza a tutto ciò è proprio lo spreco di energie causato dalla troppa durezza dei colpi. Con un corpo contratto avrò sempre una visione limitata della persona che avrò davanti, la mia rigidità non porterà mai un movimento veloce, preciso e tantomeno potente; al contrario il mio risultato sarà solo uno spreco di forze.
Tramite la leggerezza del corpo il mio movimento diverrà veloce e nascosto, così da facilitarmi le entrate e le uscite all’interno di un combattimento.
Durante i miei primi anni in palestra quando mi si chiedeva di presentare un katà mi alzavo da terra e il mio primo pensiero era ‘’lo svolgerò con tutte le mie forze, così la mia dimostrazione risulterà migliore’’. Non avevo ancora capito di come tutto ciò sarebbe risultato inutile al mio corpo e poco interessante visto da fuori. Guardando gli altri mi rendevo conto della mia mancanza, i movimenti dei katà svolti dalle cinture superiori sembravano, ed erano effettivamente, completamente diversi dai miei: erano più morbidi e le loro tecniche parevano tagliare l’aria.
Ero sempre stata convinta del fatto che ‘’più forte è, meglio è’’, invece era l’esatto opposto e me ne sono resa conto andando avanti con gli anni.
Tutt’oggi non sono ancora in grado di essere totalmente priva di movimenti bruschi o pesanti, ma la mia mente è molto più libera rispetto agli anni scorsi e la differenza si sente eccome. Questo avviene soprattutto perché una costruzione rigida e sempre in tensione porta ad un diminuire delle facoltà psicologiche che avranno come conseguenze la durezza nei movimenti, il disperdimento di energie e il subire di colpi evitabili. La sincerità è alla base di tutto.
Se sarò sincera con me stessa e riuscirò ad ascoltare il mio corpo sarò poi in grado di spiegare come mi sento e cosa trovo di sbagliato in una determinata situazione, arrivata a questo punto potrò parlare ed esprimere le mie sensazioni, per poi ricevere consigli che mi saranno certamente d’aiuto.
Non divagherò troppo per ciò che riguarda l’argomento principe dell’elaborato, ma trovo di fondamentale importanza spiegare su cosa, a parer mio, si basa la nostra palestra.
Ho pensato a lungo riguardo a cosa potesse basarsi una struttura così grande e unita. La risposta che è riuscita a radunare tutte le idee che avevo in mente è solo una: la fiducia.
Il karate, il nostro karate, non sarebbe nulla senza di essa. Non è come quando si va in palestra a fare qualche peso; nel momento in cui varco quella porta non ho più nessun controllo.
Mi spiego meglio: quando entro in quella sala non so cosa potrebbe accadermi quel giorno.
So benissimo che il mio maestro avrà sempre qualcosa di nuovo da proporci, qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, qualcosa di nuovo e da provare. Sperimentiamo ogni giorno qualcosa di nuovo, anche se l’esercizio è già conosciuto, ci sarà sempre qualcosa di diverso dai giorni precedenti. Qualsiasi cosa ci venga proposta sappiamo tutti come prenderla, vogliamo provarla e conoscere il risultato, non ci basta vederlo fatto da un insegnante, dobbiamo attuarlo su noi stessi, per questo ho parlato di proposta e non di ordine.
Fiducia perché sono a conoscenza del fatto che tutto ciò che mi viene spiegato potrebbe essermi utile da un momento all’altro, fiducia nei miei compagni, che considero come una seconda famiglia, fiducia perché so di non correre pericolo e perché per qualsiasi cosa, so che tutti saremmo pronti ad aiutarci a vicenda senza indugi. Il legame che siamo riusciti a creare è ormai incancellabile, non siamo solo persone con uno sport in comune, tutt’altro, noi siamo amici dentro e fuori dalla palestra. Ci è stato insegnato a non provare odio per le persone, che tutti noi possiamo raggiungere il nostro obbiettivo, un nostro sogno e realizzarlo.
Ci è stato insegnato come la pratica sia di fondamentale importanza, come a volte le parole non bastino a spiegare un dubbio, a farci forza e a migliorare sempre più.
Abbiamo visto come gli insegnanti si rivolgono a noi, abbiamo notato come non si mettano mai in mostra; non importa far vedere ciò che sanno fare, l’unica cosa importante per loro è la nostra comprensione di qualcosa che, all’apparenza, poteva sembrare complesso, ma che alla fine si è rivelato più semplice del previsto.
È in occasioni come questa che si vede la fiducia che hanno nei nostri confronti, il come ci guardano dopo la riuscita di qualcosa, il loro sguardo pare che dica ‘’lo sapevo che ce l’avresti fatta’’. In momenti come questi ti rendi conto di quanto tu ami stare tra loro e di come la voglia di continuare a imparare sempre di più risieda nel tuo cuore, e rimarrà lì per sempre.
Denise

 

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